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Come evolve il ruolo del manager? Web Meeting dei Digital Guys con AISM, in forma di Avatar.

Paul Williams, Phantom of the Paradise, 1974
Swan promette il futuro, dobbiamo credergli?
(Paul Williams in ‘Phantom of The Paradise’ di Brian De Palma, 1974)

A pochi giorni dal Natale appena passato, ci siamo interrogati su un futuro per nulla scontato. Non abbiamo sfere di cristallo, ma neppure vediamo il bicchiere mezzo vuoto, in ogni crisi c’è una prateria di possibilità.
Il grande Paul Williams, nei panni del diabolico Swan prometteva il futuro (lui, che l’anima al diavolo l’aveva bell’e venduta). Noi no, anche se la tentazione è forte. Non abbiamo mai intrapreso la strada del wow effect mediatico, non abbiamo mai pensato di cavalcare l’onda, d’essere guru. Essere Digital Guys è sostanzialmente ricordarsi che siamo Digital Worker, che la prima prova provata di ogni tecnologia che maneggiamo la cerchiamo noi stessi, tutti i futuri che vediamo, li visitiamo di persona. Chi non va, non vede, e come ogni vero trailblazer che si rispetti, corre per primo lui stesso il rischio di perdersi. È il suo mestiere e la sua sfida.

Ci apprestiamo ad una nuova stagione di ricerca, una frontiera da esplorare, dei coloni da guidare verso l’ovest degli early adopter, i primi che adottano le tecnologie, che credono che ricerca e sviluppo non sia una voce di costo, che sanno cogliere i segnali deboli e organizzarsi. Credo che sia venuto il tempo di guardare oltre questa pandemia, di iniziare a scegliere e di prepararci al futuro.

Tra i futuri che vediamo dischiudersi, i MUVE, Multi User Virtual Environment, che hanno avuto un lampo di popolarità con Second Life nell’ormai lontano 2008, rientrano oggi al tempo del Covid e dello Smart Working nel novero delle promesse digitali più interessanti, maturate nei format, arricchite da tecnologie sempre più emozionali, immersive.

Chi è chi?

L’occasione di parlarne è venuta da AISM, l’Associazione Italiana Sviluppo Marketing, che ci ha invitato a tenere il 21 dicembre scorso un webinar sui temi della virtualità in ambito d’impresa, con un occhio di riguardo a tutte le implicazioni e le potenziali applicazioni offerte in azienda nell’ambito di condivisione, formazione, simulazione, ovunque sia utile arricchire l’efficacia e l’esperienza della comunicazione mediata da computer (CMC) o per dirla in termini più cool, il Social Broadcasting attraverso le piattaforme di realtà virtuale sociale.

Parlare di musica è come ballare di architettura“, diceva Frank Zappa, a ricordarci come sia difficile tradurre l’esperienza da un media all’altro. Per questo abbiamo deciso di lasciare sospeso per ora il giudizio, condurvi su tracce sottili senza una adeguata preparazione non è un buon servizio da esploratori, ma ci stiamo preparando. Abbiamo visione, missione e obiettivi ben chiari, raccogliamo esperienze e strumenti e stiamo preparando le mappe che ci condurranno a destinazione. Ne parleremo.

A better way to the end the way? La risposta è la promessa del Trailblazer.

Ora, oltre al link per vedere integralmente la registrazione del nostro incontro, tre testimonianze, tre punti di vista di chi c’era all’appuntamento: io, Stefano Lazzari, come relatore, Antonio Cirella e Danilo Premoli come spettatori. Tre impressioni, tre esperienze prese nel momento dell’azione sulla/della virtualità.
(PS: metto i nomi dei nostri avatar, vediamo chi indovina chi siamo).


Stex Auer – È stato entusiasmante incontrare i miei compagni di viaggio Digital Guys, vederli entrare, muoversi e affrontare lo spaesamento, ma anche la frustrazione tipica di ogni newbie, sentirsi impacciati e inadeguati. Una tappa indispensabile del percorso che porta ad essere padroni di uno spazio digitale, ma anche di una forma identitaria, l’avatar, oggi così estrema e domani così ovvia.
Questo mi ha fatto riflettere sul tempo necessario per la costruzione di un avatar. È necessario un mix di esperienza e di sensibilità.
In inglese, humankind è l’appartenenza all’umanità. Avakind è l’appartenenza alla condizione di avatar. Ma cosa avvicina l’uno e l’altro? Qual è l’abilità che ci facilita questo passaggio? Io la chiamo Avakindness.
Avakindness è l’attitudine che si acquisisce nell’essere avatar. Questo non avviene sempre, e quasi mai velocemente, è un percorso che si impara con il tempo. L’obiettivo dei Digital Guys sarà proprio quello: accompagnare e rendere il più breve e piacevole la Avakindness di chi ci seguirà nel nostro percorso digitale. It could work!

DJGuru – Per la prima volta ho assistito a un dialogo tra umani e avatar, in una dialettica mista con grande fluidità. La dissertazione su temi inerenti ultracorpi (e ultrauffici) è stata di alto livello, si sono toccati con grande maestria i punti focali del senso di una evoluzione volta alla ricerca di nuovi spazi. Questi nuovi spazi non sono necessariamente presenti nel mondo “Real” ma possono (più) agevolmente essere cercati in mondi “Virtual”. È la visione specifica che Digital Guys ha di questi aspetti poco esplorati dallo smart working attuale, che molto più ha di “emergency” che di “smart”. Gli uffici del futuro (ma anche del presente, se vogliamo) possono essere arredati e abitati in mondi virtuali dove si può discutere di temi pratici in ambienti più confortevoli e carichi di emozione, quella emozione di cui sono completamente scevri gli ambienti del “Web”.

Next Mies – In Real, In Web, In Digital: tutti “mondi” coinvolti nell’esperienza totalizzante In Life di “Ultrasoma”. Come semplice “spettatore” (alcuni termini relativi al reale necessitano di virgolette se utilizzati In Life, in mancanza di parole adeguate) avevo anche un’ulteriore curiosità sugli interventi previsti: oltre al nuovo ruolo del manager da oggi al 2026, volevo capire se c’era un secondo significato di “Ultrasoma”: il soma è infatti la droga euforizzante descritta da Aldous Huxley in Brave New World, a volte spruzzata nell’aria per sedare situazioni di disordine pubblico. Ma non è stato questo il caso! Ne è uscita una delle tante, praticabili modalità di “dialogo” attraverso un mix di tecnologie, finalmente e consapevolmente ridotte a mezzo e non a fine, capaci di spostare l’attenzione dalla rappresentazione ai contenuti e, sembra un paradosso visto i diversi “mondi” coinvolti, da quello che potrebbe essere a quello che è già oggi possibile (se non addirittura necessario).


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