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Non è la prima volta che mi accade di vivere la cancellazione

Ognuno di noi ha un paese come questo, e sia pure diversissimo, che dovrà restare il suo paesaggio, immutabile; è curioso che l’ordine fisico sia così lento a filtrare in noi, e poi così impossibile a scancellarsi…”

Eugenio Montale, Ossi di Seppia

c’era una volta Havna Bay

Havna Bay, il suo porto, il lungomare e le banchine ingombre di casse dove amavo passeggiare per cogliere gli ultimi raggi di sole digitale, il molo sotto il faro, dove ho incontrato Lillax e i suoi racconti, il palco dove danzavamo al solstizio dei marinai, il padiglione sul mare dove abbiamo esposto le opere dei nostri artisti, è stato cancellato.
AustinLiam, il proprietario designer e raffinato progettista di paesaggi che aveva creato Havna Bay, ha lasciato Second Norway e dunque il luogo che per diversi anni è stato per me “casa”, è scomparso.

Non è la prima volta che mi accade di vivere la cancellazione.

Strana geografia del Metaverso, le terre qui emergono o scompaiono a seconda della volontà dei loro proprietari e demiurghi. Ma è la norma, in un mondo digitale, che la sua mappa sia un continuo ricomporsi e rigenerarsi, comparire e cancellarsi, riscriversi in un continuo mutare di scene e paesaggi.

Quattro anni fa, Quando Ey Ren fondatore di Second Norway mise in vendita la regione acquistate in seguito da Vanity Bonetto che ne ha la proprietà tutt’ora, un’altra Havna sorgeva la dove oggi il mare digitale ricopre la baia, e che allora prendeva il nome di Havna Bolmen.
Li avevo deciso prendere dimora, dopo una lunga assenza dalla virtualità, affascinato dal design di un paesaggio nordico ma temperato da una natura e una architettura dei luoghi mai ostile, senza eccessi e senza la cupezza gotica che intristisce il Vero nord.

Havna Bolmen, una mattina d’inverno

Havna allora era composta da diverse isole che si affacciavano su una baia accogliente, posta sull’esterno lembo ovest della regione di Second Norway, parte a sua volta di una grande area di arcipelaghi che circondano il Mare di Blake, una distesa perennemente calma di acque digitali solcate dalle imbarcazioni degli abitanti della regione e da regatanti e navigatori che provengono da altre regioni. L’area del Mare di Blake vive uno statuto particolare: benché sia di proprietà dei Linden Lab, é gestito da un consorzio di proprietari privati che ne tutelano le regole di passaggio pubblico e di comportamento. Un caso di gestione della “cosa pubblica” assolutamente originale, sviluppata autonomamente nella comunità dei residenti.
il luogo adatto per la casa di Stex.

Notturno. the GreenHouse, Sarah Ann, Havna Bolmen

Feci così creare lo scenario adatto alla rappresentazione della mia identità digitale da Mexi Lane, scenografa paesaggista e artista di grandissimo talento che mi rispecchia perfettamente nei gusti e nella visione del Metaverso.
Sorse così il sogno di una grande casa — serra, arredata come la dimora di un Capitano Nemo, ricolma di mappe e atlanti, arte e strumenti marinareschi, dove su colossali divani morbidissimi e circondati da da piante esotiche, Stex accoglie gli amici e i collaboratori delle sue avventure.
Lí abitai per tre anni.

the GreenHouse interiors, Sarah Ann, Havna Bolmen

Sino a quando, poco prima del cambio di proprietà, venni avvertito della decisione di riformattare il simulatore e dunque di cancellare quella parte di regione. Dovevo trovare una nuova casa.
Ma, fosse solo quello, un trasloco, uno spostamento che problema c’è? A maggior ragione, la logistica di un mondo digitale è infinitamente più semplice di quello Vero. In fondo, diciamo, si trattane più né meno di fare un backup e riscrivere dei dati da un disco a un altro disco.
Quello che però si stava attuando, con le dovute proporzioni rispetto al Vero, era anche uno sradicamento, o meglio uno spaesamento da quel reticolo di relazioni, storie, abitudini, sensazioni che quel luogo, per quanto immaginario, aveva con me. Cancellando il luogo, si cancellava una piccola ma significativa parte del mio vissuto. E questo non si può perpetrare in un backup.

Affidai a Mexi il compito di smontare tutto, riporre nel proprio inventario ogni cosa, casa, suppellettili, i cespugli di bosso, il pontile, le sedie di vimini, il giardino, le piante lacustri, il boschetto di betulle, le mappe e i quadri. Ora si trattava di immaginare e ricostruire.

Gregory Lighthouse, Havna Bay

Non mi dilungo nella cronaca di quei giorni. La terraformazione di quella parte di Second Norway richieste tempo, ed io non lo persi. Appena sorsero le nuove terre, affittai da Vanity un’isola sul simulatore di Borge, contigua a Havna, divenuta ora Havna Bay dove AustinLiam stava alacremente lavorando a quello che sarebbe diventato un porto, un villaggio che si estendeva su diversi simulatori comprendenti vasti paesaggi agricoli, insediamenti di pescatori, un aeroporto, e nella quale ora per ora, giornata per giornata, anno per anno, ho costruito una quotidianità digitale, una frequentazione che permette la lettura di segni minuscoli, dettagli irrilevanti singolarmente, ma che col sedimentarsi nella memoria, rendono quel luogo riconoscibile intimamente, parte della propria identità.
Solo Vivendo un paesaggio immaginario “così lento a filtrare in noi, e poi così impossibile a scancellarsi” si crea la condizione necessaria per quella intimità spaziale che possiamo altrimenti chiamare “immersività” e che nulla ha a che fare con dispositivi e tecnologie.

Festa per l’inaugurazione dell’ ibsensund bridge

La sera, come d’abitudine, faccio una visita Inworld per vedere chi c’è per due chiacchere, fissare un appuntamento, fare dello shopping o semplicemente per fare un giro in barca. Guardando nella lista degli amici presenti in quel momento, ho visto il nome di Melissa Lowtide, che di Havna Bolmen fu la custode e curatrice del paesaggio.

L’invitai a raggiungermi per vedere la mia nuova abitazione a Collet, il simulatore contiguo a Havna dove ora ho casa.
Dopo l’esperienza del mio primo trasferimento su Bolmen e dove ho iniziato la storia di Sarah Ann Sailing, qui a Collett quest’anno ho edificato il progetto della nuova dimora affidata inevitabilmente alle mani di Mexi che qui ha superata sé stessa andando oltre i miei desideri.
Ora vivo in una antica limonaia decorata da lesene neoclassiche convertita ad abitazione, con una magnifica doppia esposizione, mare e bosco, affrescata con scene di mare. Immancabile la cabina delle stampe, le mappe e i libri, i necessari divani giganti. Avendo poi a disposizione una intera isola, la casa è completata da un padiglioncino liberty dotato di tutti i comfort che un flaneur digitale possa volere e una grande serra adibita a sala di incontri ed esposizioni, boschi e radure popolate da uccellini, il pontile e i ruderi romantici di un antico monastero completano la scena del mio magico rifugio.

Stex in the Orangerie, New Sarah Ann, Collet

Il teletrasporto qui funziona, e in un secondo Melissa é con me. Chiacchierando durante la visita alla serra, il discorso iniziato sull’onda emotiva della cancellazione di Havna Bay è proseguita inevitabilmente sulla precedente trasformazione, che la vide coinvolta. Domandai da quanto tempo non vedeva Ey Ren, qui a Second Norway, lui che di questa regione è stato il promotore e fondatore

Ruins of the old Abbey, Collet

Stex Auer: do you know anything about Ey Ren?
Melissa: long time since we talked he pops in now and then
Stex Auer: It happens often like this. Those who are residents of SL always come back, even after a long time. There is a sentimental connection to this place.
Melissa: so true stex. I still miss Havna, it was my pride and Joy.
Stex Auer: I understand this feeling very well. there is a real nostalgia, even though this land is a dream. maybe because of that.
Melissa: hmm yes

Un momento di silenzio. Rifletto sul ricordo, assaporando l’agrodolce profumo del ricordo nostalgico. Quel profumo in quel ricordo è pura essenza d’esperienza.

Little Green Pavillion, New Sarah Ann, Collet

Forse per deformazione professionale, forse per una maledetta abitudine a razionalizzare, ho pensato per un attimo che quella cosa che sentivo era di fatto il sacro Graal della User Experience, il distillato definitivo dello storytelling. “Tutte stronzate”, mi dico. Impadronirsi di quel profumo è vano, perché una esperienza (quella vera, non il surrogato dolciastro che ci viene proposta precotta dalla cultura del consumo) non si può indurre, non si può progettare, ogni esperienza è sporca di vita, ha in sé qualcosa di irriducibile, non si può estrarre e sintetizzare, può essere solo vissuta nel suo duplice stato di esperienza collettiva e intimità individuale, nel casuale incontro della propria storia con la storia del mondo. Anche in un mondo virtuale.

Fortunatamente Melissa mi ha riportato alla ragione. My pride and Joy.
Si, orgoglio e gioia. Havna per Melissa, per me, per Ey è una esperienza vera.

Meetings Pavillion, New Sarah Ann, Collet

Solo chi ha un vissuto quotidiano nei mondi virtuali, chi ha una avakindness a lungo maturata dalla quotidiana immersione sa e può ragionevolmente testimoniare oggi l’esperienza che sarà (forse) a breve vasta e collettiva di una intimità emotiva con un sé digitale, il cui sviluppo ancora non possiamo che intravedere, ma già oggi parte di noi: lo riconosciamo da come ci confrontiamo con i nostri dispositivi tecnologici, parte di noi come espansione del corpo, e le nostre attività nei social media, parte integrante della nostra identità sociale.
E il confronto con l’immateriale ma potentissima intelligenza artificiale generativa non farà che accelerare.

Se da una parte il miraggio di una intelligenza artificiale generale ci porta a intravedere la creazione di una alterità aliena, cosa che piace tanto ai media, ma che pochissimo mi appassiona, dall’altra ci prospetta una fusione di coscienza individuale e di intelligenza artificiale globale, questa sì tanto coinvolgente quanto terrificante, promettendoci l’accesso a scenari evolutivi straordinari per l’umanità.
Ma anche senza andare così in là e perdersi in speculazioni transumaniste, già oggi assaporiamo quello che il rapporto simbiotico con la IA ci dà in creatività e invenzione.
Ma torniamo qui e ora.

con gli amici, al Club Nautico di Havna Bay

L’esperienza ecumenica di Second Life si può ragionevolmente oggi, nella pur breve vita dei mondi virtuali sociali, già storicizzare come uno dei capitoli di più rilevante successo di questo processo di intimizzazione tecnologica, come passo, fondamentale verso la costituzione di quel sentimento di avakindness oggi necessario per comprendere meglio e più vividamente il percorso storico della nostra cultura verso una unione fra Res extensa e Rex Cogitans, con buona pace di Cartesio, una strizzata d’occhio a Platone e un abbraccio coi pensatori d’oriente.

Saluto Melissa che se ne va.
Mi sposto su ciò che emerge in Havna, ridotta, a una serie di isolotti utili a sostenere la strada che collega, ancora i simulatori più a est con il grande viadotto che porta all’aeroporto centrale di Second Norway.

Qui, in questo laboratorio attivissimo, in questo mondo che rinnova il suo senso di esistere e che dà vita ad una società e una economia resiliente e prospera che non ha paragono in nessun altro mondo virtuale mi piace proprio stare.


Ps

Forse AustinLiam tornerà a second Norway. L’ho sentito, si è trasferito non lontano, in una proprietà più piccola. Havna ora è tornata ad appartenere al Real Estate di Vanity Bonetto, ma non è in vendita.

Pochi resti e piagge deserte, la Nuova Havna

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