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Viaggio non euclideo sul tema della Soglia nei mondi virtuali

Leonorah Beverly, Sea foam – 2017

lo scoprire, il muoversi, il viaggiare danno origine a ciò che nel tempo sono stati definiti paesaggi interiori, paesaggi dell’anima, o mappe intime, destinati ad essere custoditi nell’atlante della nostra memoria (…). La mia geografia emozionale è proprio la mappa dei sentimenti, delle pulsioni, dei desideri. La storia vede il mondo dal lato della morte, come un insieme di reperti funerari, la geografia emozionale dal lato della vita’.

“La donna che ha tracciato l´Atlante delle emozioni”, di Goffredo Locatelli, La Repubblica edizione di
Napoli, 6 dic. 2006.

Lo spazio, come il tempo è questione di relatività.

O forse dobbiamo parlare di sensibilità, dato che ognuno di noi ne ha una condivisibile sì, ma parzialmente. Data la mia, non posso che sentirmi affine al pensiero di Giuliana Bruno, riconoscendo in esso sia la verità che la fragilità di una geografia emotiva soggetta ai capricci dell’individuo ma che contemporaneamente è anche l’unica che ci permette di comprendere l’entanglement quantistico tra i vari stati della realtà tecnologicamente aumentata che va dal fisico e tangibile all’immateriale e metafisico, dal reale al metaverso: solo il viaggio virtuale genera la sua geografia, che altrimenti non esiste nel qui e ora della realtà oggettiva e materiale.

Cos’è lo Spazio?

Iniziamo dunque insieme questo viaggio non euclideo preparando il necessario. Per prima cosa, lo Spazio. È necessario che ci intendiamo per cosa sia spazio e in seguito, dato che la nostra idea è quella di trasferirne il senso nella dimensione del digitale, capire se questo è valido nel reale come nel virtuale.
La Treccani, a proposito del nostro punto di vista, definisce lo spazio come “intuizione soggettiva elaborata mediante gli organi di senso (spec. la vista) o concepito (per es. nella prossemica) come modalità secondo la quale l’individuo, nel suo comportamento sociale, rappresenta e organizza la realtà in cui vive“.
Perfetto. Lo spazio dei sensi con la geografia dei sentimenti sono concetti in assonanza e contiguità, rivelandosi entrambi strumenti perfettamente utilizzabili nella realtà che le tecnologie della virtualità e dell’immersività ci prospetta, facendo da soglia tra i diversi stati di una realtà che occupa contemporaneamente più spazi sovrapponibili: virtuali, espansi, misti. Potremmo anche dire che è proprio la “Soglia Tecnologica” a contenerli tutti, a metterci nella possibilità emotiva e spaziale di comprenderli.

Cos’è la Soglia?

La Soglia, dunque, non è una frontiera, né una barriera né un ostacolo. Non è definita dall’essere più o meno valicabile. È evidente però che segna un passaggio, un inizio o una fine, un al di qua e un al di là. La soglia è di una irriducibile ambiguità: è contemporaneamente separazione e unione, ha in sé lo stesso significato di schermo, che separa, protegge e al contempo svela, rende visibile.
Rimanendo nel nostro argomento, sempre la Treccani, ci viene in aiuto spiegandoci che in psicologia sperimentale, per soglia ” si designa la minima quantità di eccitazione necessaria per produrre una percezione“.
La Soglia Tecnologica allora non solo è lo stato nel quale è possibile avere la percezione dei diversi stati della realtà, ma è anche il detonatore dell’esperienza, lo spazio-tempo di passaggio necessario che ci permette di raggiungere la predisposizione intima ed emotiva, nella giusta quantità, per dare un senso percepibile alla esperienza che stiamo vivendo.

La soglia è nel dispositivo?

Probabilmente. È proprio per questo che diamo tanta importanza al concetto di immersione, e alla sua rappresentazione tecnologica, fisica e simbolica al contempo, il visore. Indossandolo, indossiamo la Soglia, rendiamo evidente che partecipiamo al rito di passaggio verso un diverso stato di percezione della realtà. Queste forme di ritualità tecnologica esistono in effetti da tempo, anche precedenti al digitale. La tecnologia ha sempre esposto nel rito della “vestizione” e della preparazione l’unione fra il potenziale umano e il potenziale della macchina. Unendole si viene a creare una chimera ibrida, un centauro tecnoumano che ora come non mai, risulta sempre più fuso, un tutt’uno indistinguibilmente normale.

Le tecnologie diventano dunque sempre più ubique, intime, emotive, psicologiche. Probabile che da qui a breve il dispositivo perderà il suo significato di Soglia, diventerà esperienza comune e diffusa confrontarsi con le tecnologie, piuttosto che manipolarle.
Basti pensare al nostro rapporto dialogante quasi da flusso di coscienza con l’intelligenza artificiale di ChatGPT, che già rende obsoleto il concetto di “strumento” e di interfaccia.
Inoltre già da tempo l’ambito di quello che possiamo chiamare globalmente “Spatial Computing” così definito nel 2003 da Simon Greenwold come “interazione umana con una macchina in cui la macchina conserva e manipola riferimenti a oggetti e spazi reali” prevede un amplissimo spettro di interazione fra reale e virtuale, delineando una “realtà spaziale” che va della Augmented reality alla Mixed Reality sino alla Virtual Reality e al Digital Twin, la digitalizzazione funzionale totale della realtà fisica, a chiudere come in un Nastro di Moebius, la spirale topologica della rappresentazione della realtà.

la soglia è nella cultura?

Se Il valore della soglia tecnologica tende a distrarsi dal dispositivo, questa però rimane. La soglia, quella psicologia ed emotiva, è necessaria e indiscussa, parte integrante della nostra percezione della realtà, è necessaria non solo per delimitare lo spazio per la creazione del dentro e del fuori, ma è anche necessaria a delimitare il tempo, il prima e il dopo.
Anche se il nostro tempo pare totalmente estraneo ad ogni necessità di ritualità, in effetti non l’ha abbandonata, e la pratica delle tecnologie digitali, non diversamente da altre creano mitologie, riti di passaggio, una propria simbologia ermetica, iniziatica.
Questa Soglia Tecnologica è di fatto sempre più culturale. Non solo è determinata di fatto e praticamente dall’accesso o meno alla tecnologie, e questo riguarda il digital divide, che separa il digital literate da chi non lo è, ma è determinato soprattutto dalla comprensione di un nuovo e originale linguaggio digitale universale (mi verrebbe di dire un nuovo Esperanto) di metafore visive spaziali, simboliche e percettive che richiedono per chi vi approccia, un discreto sforzo di comprensione, non diverso e di sicuro superiore perché più articolato, a quello che fu introdotto dalla cultura delle interfacce digitali.
Siamo, letteralmente, sulla soglia di un grande cambiamento e chi si occupa delle tecnologie della spazializzazione e dalla intelligenza artificiale è data una grande e straordinaria sfida linguistica e culturale.
Se siamo qui a parlarne è perché l’abbiamo accettata.

Per concludere, ho immaginato, dopo tanta astrazione, di riportare qui un racconto breve che scrissi tempo fa, dove racconto di un viaggio nel metaverso da parte di un equipaggio composto da marinai esperti al passaggio nel mondo digitale ingaggiati per trasportarvi dei passeggeri curiosi di conoscerlo.
Per questo partiamo dal pontile dove abbiamo raccolto i nostri per la partenza del Leonidas, un Leudo vinacciere costruito alla fine dell’800 a Lavagna. A detta dei vecchi padroni, una barca estremamente veloce e manovriera, nonostante le sue dimensioni. Quello che fa per noi.

Il Leonidas, in atomi

Il viaggio del Leonidas

“Siamo a bordo del Leonidas ormai da diversi giorni. la terra è lontana alle nostre spalle. In verità, a me che ho già compiuto il primo viaggio molto tempo fa, come si dice, in anni non sospetti, il passaggio in mare verso la nostra meta si svolge in un lampo. Il tempo, per essere più precisi, di un download. Qualcosa di simile al ‘batter di un ciglio’ come si sarebbe detto in altri tempi.

Ma in questo viaggio non euclideo verso la Flatlandia dei Mondi Virtuali, lo scorrere del tempo è sottoposto a una legge assoluta: il tempo è relativo alla quantità di fede nella esistenza della meta nell’equipaggio. Per rallentarci sino quasi a fermarci, come attraversando la melassa dei sargassi basta un po’ di scetticismo, un’ombra di sospetto. Non si tratta di incredulità o di negazionismo. Chi non crede, chi è convinto della ‘lontananza irrevocabile’ o nella ‘ipotesi vaga e futuribile’ che è quella di chi nega l’esistenza di vita intelligente nell’universo e vi ripone la stessa fiducia che ha nell’incontrare Babbo Natale, non si è neppure fermato sul molo il giorno in cui abbiamo raccolto i marinai dell’equipaggio.

Chi è disposto a venire con noi si presenta al primo ingaggio con occhi fiduciosi, o con sorrisi d’intesa. Sono uomini e donne d’ogni età, spesso giovani professionisti, competenti e con incarichi aziendali, altre volte maturi uomini d’affari, o professori in molte scienze e arti. All’appello mancano i giovanissimi. Quelli non hanno bisogno del nostro passaggio, che per una strana inversione d’esperienza, di solito appannaggio degli anziani, ne sono già ricchi sin quasi dall’infanzia e ci hanno anticipato al di là del mare. Sono li che non ci aspettano, già presi dai loro traffici.

La raccolta della ciurma è uno degli affari più faticosi, ma ancora più sfiancante, un vero sforzo di Sisifo, è tenerne alto il morale durante il viaggio, allontanare da loro ogni ombra di ripensamento, di riflessione oziosa, di dubbio programmatico, di valutazione costi benefici. Abbiamo perciò preso ogni precauzione: fatto il punto, studiato mappe e portolani, tracciata una rotta che ci permetta di sfruttare i venti a nostro favore con strumenti di geolocalizzazione dalla precisione millimetrica. Abbiamo indetto convegni, meeting, proiettato diapositive, esposto evidenze e numeri (a loro tanto cari, sono come ansiolitici, li mettono al riparo dal dubbio), intessuto storytelling e favole, di tutto.
Io che ho percorso diverse volte questa rotta, so che sono tutte precauzioni inutili: anche questa volta la più parte dell’equipaggio svanirà dalla tolda del Leonidas prima della fine del viaggio.

Come accade è presto detto. Nessuno dell’equipaggio all’inizio se ne accorge, e noi per primi, d’altronde, ci premuriamo di non avvertirli di nulla, che prima succede meglio è – ci diciamo – perchè ogni dubbio è un rallentamento. Ma prima o poi capita a tutti guardando fuori bordo la prua che solca l’acqua, di accorgersi che non ci stiamo spostando. Il Leonidas non si è mosso di un millimetro da dove l’abbiamo trovato. E’ tutto il resto del mondo che si muove. la barca sembra avanzare sulla sua rotta, ma in effetti è il mare che scorre sotto di noi. Strana sensazione guardare il mondo da questa mobile fissità. Genera una vertigine, un barcollamento, una inversione di realtà che mette alla prova i nervi e l’intelletto.

Per i più questo mal di mare, se così possiamo paragonarlo, è motivo di rapido disinnamoramento, di caduta d’ogni interesse, e puff, svaniscono all’istante. Ce ne accorgiamo, anche se non siamo presenti, occupati dalle faccende della navigazione nella stiva o nella manovra, da un più o meno percettibile – dipende dalla quantità di fiducia svanita – balzo della velocità della nostra imbarcazione. Altri resistono, eroicamente, a più assalti del male, ma più o meno quasi tutti cedono nell’arco di poco tempo. Tra l’equipaggio la trasmissione avviene rapidissima, come un contagio. Chi ci abbandona lo fa rapidamente, altri che vediamo soffrire o caparbiamente non capire, gentilmente li invitiamo a guardare la prua e questo li convince definitivamente a sparire. Gettarli in mare sarebbe stato più facile e veloce, ma non è nel nostro stile.

Ecco, ora il Leonidas fila al gran lasco, è un piacere sentire il vento teso nella vela, il veloce tamburellare delle onde di questo mare perennemente sereno. Che dire dell’equipaggio rimasto? sono provati ma fermi nella loro giovane convinzione che subirà altre prove. Chi è svanito non ci interessa, e noi non interessiamo più loro. Ci domandiamo sempre se ne vale la pena, questa opera di convincimento, invece di fare carichi e raccogliere equipaggi già residenti nel mondo virtuale, trovando al prossimo ingaggio equipaggi pronti e dunque rotte veloci e fruttuose. Non abbiamo ancora deciso, e questo è il nostro sargasso.”

g a b r i e l l e s w i n d l e h u r s t — As desolate as our beach in november… (2011)
reference
Questo articolo è uscito in stampa sul secondo numero del magazine ULTRA – “The Threshold. Enchanted and disenchanted perspectives on a paradigm shift” (ottobre 2023) in occasione della Milano Digital Week.

Il racconto “Il Viaggio del Leonidas” che lo completa è parte del ciclo “l’isola analoga nel metaverso” in quattro parti pubblicate nel mio blog su Medium nel novembre 2020 – https://bit.ly/2KNRdCt

l’articolo qui pubblicato è stato rivisto e in alcune parti rimaneggiato rispetto all’originale.
Link utili

https://www.treccani.it/vocabolario/spazio

https://www.treccani.it/vocabolario/soglia

https://it.wikipedia.org/wiki/Entanglement_quantistico

https://it.wikipedia.org/wiki/Schermo

https://it.wikipedia.org/wiki/Flusso_di_coscienza

https://it.wikipedia.org/wiki/Nastro_di_Mobius

https://it.wikipedia.org/wiki/Topologia

https://it.wikipedia.org/wiki/Esperanto

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