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Cos’è bellezza, e dove risiede, nelle mesh o nel ghost? Nel corpo o nell’anima?


In Virtual Art: From Illusion to Immersion, lo storico dell’arte e dei media Oliver Grau descrive l’esperienza dei media immersivi come “mentalmente assorbente e un processo, un cambiamento, un passaggio da uno stato mentale all’altro. Come per l’immersione linguistica — che spesso significa essere incorporati in un luogo e in una cultura diversi dalla propria — tali esperienze hanno il potenziale per trasportare una persona dal proprio quotidiano in un luogo mentale completamente nuovo, trasformando il modo in cui capiscono il mondo.”

l’immersività che intendiamo affrontare non è quella mentale o dei sensi, ma che viene richiesta nella Virtualità. È l’immersività, ma potremo chiamarlo altrimenti trasferimento, da un corpo reale a un corpo virtuale. Questo rende molto più complesso il processo, obbligando la persona a uscire, letteralmente, del corpo fisico.

Dunque, viene richiesta una capacità proiettiva, un transfert emotivo, simbiotico verso la rappresentazione del sé virtuale. C’è la necessità per chi vive questa esperienza di intendere il corpo come uno dei dispositivi del sé, corpo che diventa materia narrativa, editabile rappresentativa di una identità prima che simulacro di un corpo. <Segue…>

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Originariamente pubblicato su https://www.filodiritto.com il 13 gennaio 2022.

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